Ho avuto modo di leggere più volte il monito di Giuliano Kremmerz sul rischio di lasciarsi abbattere in mancanza di risultati tangibili e sulla facilità con cui si può passare dall’entusiasmo all’indifferenza. Allo stesso modo, ho letto più volte i passaggi in cui affermava che non bisogna credere fideisticamente ma sperimentare e verificare.
In questi primi mesi dalla mia ammissione ho continuato con costanza a seguire il percorso, talvolta sperimentando, senza risultati tangibili. Qualche sprazzo di luce qua e là ma sempre col dubbio che in realtà fossi io a dare un significato diverso a situazioni che, in altri tempi, sarebbero passate inosservate.
Finché non è arrivato il viaggio all’Aquila. Un viaggio di lavoro, basato sull’azzardo della puntualità di treni e bus autostradali. Il treno diretto a Roma riuscì ad accumulare un ritardo abissale, sfidando probabilmente anche le leggi della probabilità. In base alle informazioni che ero riuscito a recuperare su Internet, avevo una sola possibilità di arrivare puntuale all’Aquila per tenere il seminario che mi era stato assegnato. Era l’autobus delle 12.15. Il successivo sarebbe partito, sempre secondo Internet, quattro ore dopo. E quell’autobus era ormai partito da un po’.
Uscito dalla stazione, incerto se cercare un autonoleggio, chiedere un preventivo a un taxista, telefonare al committente, qualcosa mi spinse comunque ad andare alla stazione degli autobus. Un gesto velleitario probabilmente.
Eppure appena arrivato, magicamente, scoprii che c’era un altro autobus diretto all’Aquila che sarebbe partito da lì a pochi minuti. Un miracolo? Forse. Giunto all’Aquila, alla fermata prevista, avrei dovuto cercare un taxi e probabilmente, considerando i tempi di attesa, sarei arrivato tardi. Dicendo casualmente all’autista in quale borgata sarei dovuto andare, scoprii che l’azienda aveva il proprio deposito proprio in quella borgata.
L’autista mi accompagnò fino alla borgata ma dovette lasciarmi presso un incrocio, non potendo deviare il percorso, informandomi che avrei dovuto fare circa un chilometro a piedi nella zona industriale. Col caldo di quel giorno non era il massimo ma almeno ero quasi arrivato.
Orientarsi in mezzo ai capannoni non è oggettivamente facile e infatti non riuscivo a trovare l’indirizzo. Nemmeno il navigatore pedonale riusciva a essermi di aiuto. Mentre stavo scarpinando decisi, senza un perché, di infilarmi in un ufficio della zona per chiedere informazioni. In altri tempi non l’avrei mai fatto. La persona presente al front office, senza un perché e con la massima naturalezza, mi disse che mi avrebbe accompagnato in auto. Poche centinaia di metri ma importanti vista la calura. Arrivai all’appuntamento con due minuti di anticipo. Puntualità sabauda…..
Una serie sospetta di “coincidenze” a cui non avrei forse badato troppo, se non fosse stato per il giorno seguente.
Al mattino, ritornando di nuovo nello stesso luogo per tenere un secondo seminario, accompagnato questa volta da un conoscente, accennai a questi episodi e lui, con la massima naturalezza, affermò che era una evidente manifestazione del pensiero – forza. Lo disse con fare goliardico ma esponendo poi una sua teoria – così la definì lui – che probabilmente non si discostava affatto dagli insegnamenti dell’ermetismo. La cosa mi colpì molto.
Tornato in albergo e avendo il pomeriggio libero, pensai di fare un giro fino in centro città, sperando che ci fossero stati dei progressi rispetto all’ultima volta che l’avevo visitato qualche anno fa.
Mentre ero in albergo era arrivato, improvviso, un temporale tropicale e io, cosa rara, non avevo un ombrello di riserva in valigia. I nuvoloni neri che continuavano a girare in cielo non promettevano nulla di buono ma, a un certo punto, decisi di andare comunque a cercare una calamita come ricordo della città (ho anche io questa piccola mania).
Così uscii e il caldo soffocante, nonostante il temporale, non aiutava affatto. Continuava ancora a cadere qualche goccia ma non esitai e andai avanti lo stesso. Un azzardo visto l’acquazzone che avevo preso anni prima.
Dovendo scarpinare in salita, in mezzo a lande desolate, fui più volte tentato di rinunciare e tornare indietro. Facevo due tre passi indietro, mi fermavo e poi “me stesso” diceva a “se stesso” di andare avanti. Arrivai finalmente in centro in un quartiere deserto, abitato da un paio di muratori intenti a lavorare. Un caldo folle. Mi fermai e decisi di tornare indietro. Anche questa volta qualche passo e poi la decisione di andare avanti.
Arrivato in cima alla strada dove pensavo di trovare il corso principale della città, ancora il deserto e il caldo. Si ripropose la stessa scena. Proseguii.
Finalmente arrivai al corso principale. Lo percorsi cercando un negozio dove trovare una calamita. Nulla. Mentre stavo per tornare, sconfitto, sui miei passi, la decisione improvvisa di proseguire in un’altra direzione finché non arrivai nella piazza del duomo dove trovai forse l’unico chioschetto dove vendessero calamite.
Raggiunto il traguardo mi sembrò ancora una volta che una voce mi dicesse: hai visto che sei arrivato? Stupido!
Il percorso di ritorno fu molto molto più leggero e mi parse enormemente più corto. Non la classica sensazione che si prova quando si torna indietro. Qualcosa di diverso. Una sensazione strana. Come se avessi superato una prova. Accompagnato, sempre, dalla stessa voce che mi diceva: hai visto? Stupido!
Il Viandante