Il giorno più lungo. La notte più breve. Questa caratteristica ha attribuito al solstizio d’estate significato esoterico sin dalla notte dei tempi. L’astronomia ci dice che il Solstizio (dal latino sol stetit = il sole si ferma) avviene quando l’asse terrestre raggiunge il massimo grado di inclinazione rispetto al Sole.
All’incirca il 21 giugno quando il Polo Nord punta verso l’astro solare, gli abitanti dell’emisfero boreale vivono il “punto di svolta” nell’annuale viaggio che il Sole compie sul nostro orizzonte: nel giorno stesso in cui la nostra stella resta nel cielo più a lungo, essa comincia il suo giro di ritorno verso l’inverno.
Quando si parla di celebrazioni quali i Solstizi si fa riferimento comunemente al paganesimo poiché le grandi feste stagionali erano senza dubbio un elemento importante delle religioni europee pagane e pre-cristiane. Lo scorrere dei giorni e l’alternarsi delle stagioni venivano infatti celebrati con riti esoterici dagli antichi popoli di tutto il mondo. Ad esempio in questi giorni i Celti celebravano uno dei quattro sabba minori della ruota dell’anno pagana, la festa della dea Litha, che la cristianità ha poi convertito nei rituali per San Giovanni. Mentre per gli antichi Cinesi, il solstizio di giugno era il momento in cui l’energia terrena YIN (femminile) nasce e cresce rafforzandosi, mentre l’energia solare YANG (maschile) s’indebolisce.
Perché le tradizioni legate al Solstizio d’inverno persistono (mascherate da festeggiamenti di Natale e Capodanno) mentre gli antichi riti del Solstizio d’estate sono praticamente scomparsi dalla cultura moderna? Da un punto di vista mitologico-antropologico la ragione si cela forse nel fatto che il Solstizio invernale è da sempre considerato una festa del Cielo e del Sole (principi divini maschili) e la celebrazione estiva è invece una festa della Terra, dell’elemento divino femminile. La cultura occidentale, com’è noto, ha sistematicamente soppresso l’elemento femminile, esaltando invece quello maschile. E così le grandi feste della Terra, come appunto il 21 giugno, ma anche Calendimaggio e le celebrazioni della Luna Piena, sono state per lo più dimenticate.
Esoterismo e simboli del solstizio
Nel suo circuito annuale, il Sole percorre un anello che di fatto collega i quattro punti cardinali Est-Ovest e Nord-Sud formando una croce inscritta in un cerchio. Gli Equinozi si trovano sull’asse orizzontale, i Solstizi corrispondono alle estremità dell’asse verticale. Come ci ricorda Maurizio Ponticello ne I Pilastri dell’anno “Nell’arcaica raffigurazione dell’ourobòros, il serpente morde la propria coda quando avviene il cambio di anno da cui inizia una nuova rotazione”. I Solstizi corrispondono quindi a due porte principali, varchi da cui il Sole cambia rotta e torna indietro.
Se guardiamo alla tradizione romana, il significato esoterico del solstizio è indicato dalle divinità Giano e Vesta situate alle due soglie cardinali. Esse corrispondono all’inizio e alla fine del mezzo giro e coincidono quasi perfettamente con il calendario celtico suddiviso nei sei mesi bui e nel semestre della luce. Attraversare il buio cosmico corrisponde ad un viaggio nell’oltretomba, cioè prepararsi all’iniziazione – simbolo di trapasso rispetto al mondo profano – e alla discesa agli Inferi. Il dio Giano rappresenta il flusso di morte e rinascita del Sole e sovrintende ai varchi solstiziali detti anche Janua Coeli e Janua Inferi. Il Dio dal doppio volto apre e chiude il ciclo dell’anno: introduce ai grandi e ai piccoli misteri, dà accesso alle vie dei cieli e degli abissi, è chiamato il Signore delle due vie e dispone della chiave d’oro e della chiave d’argento.
Anche lo studioso di simbolismi René Guénon, rifacendosi alle tradizioni greca e indù, ha riletto come porte di ingresso e di fuga i due punti di accesso segnati dallo zodiaco sull’asse Nord-Sud. L’entrata è indicata dalla Porta degli Dei, associata al solstizio d’inverno e alla costellazione del Capricorno. L’uscita è data dalla Porta degli Uomini, collegata al solstizio estivo e all’entrata nel segno del Cancro. Il passaggio delle due costellazioni simboleggia l’incontro del cielo e dell’acqua, “rappresenta le due mezze parti dell’uovo cosmico che vanno a formare la sfera, emblema dell’androgine primordiale e del vuoto animato: il Kàos”. Il Sole, entrato dalla porta degli Dei ha condotto in sei mesi il suo ciclo virtuoso che gli ha permesso di approdare al suo massimo, il solstizio d’estate, punto dal quale inizia una discesa, ovvero il suo viaggio inverso e discendente verso gli Inferi.
Come celebrare il solstizio d’estate – Templi celtici e luoghi sacri
Nei giorni del solstizio d’estate gli antichi Celti celebravano Litha, sabba minore della ruota dell’anno precristiana. Il vero ingresso nel semestre di luce è infatti rappresentato dalla festa di Beltane, in anticipo di circa un mese rispetto alle aree del Mediterraneo. È comunque durante i solstizi che si compie il prodigio dei siti megalitici. Nei dolmen, menhir, cromlech, i raggi del sole penetrano all’interno proiettando un cerchio di luce o attraversando come una spada luminosa lungo tutto il percorso per poi colpire perfettamente il cuore del sito. Questi megaliti monolitici e cerchi di pietre, vastissimi e imponenti (Stonhenge è il più conosciuto) erano luoghi sacri celtici, templi deputati ad accogliere i riti per i solstizi. Ancora oggi rappresentano siti di osservazione astronomica e sono universalmente riconosciuti come accumulatori di energia cosmica.
Nei rituali del solstizio d’estate compare spesso il vischio. Di rametti di vischio si parla nei miti nordici che riguardano la divinità norrena Balder – o Baldr, dio della luce. I druidi associavano questo sempreverde simbolo dell’eternità alla folgore celeste e, secondo una testimonianza lasciata da Plinio, lo raccoglievano con un falcetto d’oro il sesto giorno della Luna. Durante la cerimonia di raccolta il vischio non poteva essere toccato direttamente né doveva essere posato a terra: i rametti venivano avvolti in un panno di lino bianco e così trasportati. Il nome che i Celti avevano scelto per il vischio significa “colui che guarisce tutto” e infatti lo usavano contro ogni malattia, anche la sterilità. I Druidi compivano una sorta di trasformazione alchemica che tramutava questa pianta sacra da veleno in farmaco. Il sacro vischio è narrato in molti racconti e leggende, ancora oggi è presente nella nostra tradizione che lo vuole sopra le soglie delle case come principio benaugurante. I falò rituali del solstizio d’estate nei paesi scandinavi erano detti i “fuochi di Balder” ed erano accesi con rami secchi di vischio raccolti sei mesi prima. Sempre nel profondo nord i rabdomanti preparavano bacchette divinatorie con rami di vischio per trovare sorgenti d’acqua.
Il simbolismo del vischio, quindi, è legato ad entrambi i Solstizi. Leggende narrano l’eterno scontro tra il re della Quercia – albero che ospita il vischio come pianta parassita – e il re dell’Agrifoglio. Il conflitto è vinto a tempi alterni da entrambi i re. Questa simbologia sta ad indicare l’eterno alternarsi del regno della natura, il ciclo vegetale dell’anno nel susseguirsi delle stagioni. Così la Quercia, simbolo del semestre di luce, viene meno in Estate. L’Agrifoglio invece, simbolo del semestre dell’oscurità, soccombe in Inverno. La Dea sassone Litha, associata a Demetra/Cerere, assiste alla contesa tra i due Re e al loro conseguente alternato sacrificio. Litha non prende parte allo scontro e non parteggia per uno dei contendenti poiché rappresenta il perno stabile intorno al quale ruotano le stagioni della morte e della vita.
I Fuochi di S. Giovanni
La festa di San Giovanni è la festività cristiana che ha sostituito la celebrazione pagana Litha, della quale raccoglie e mantiene molte tradizioni diffuse in tutta Europa. La notte che precede San Giovanni è usanza l’accensione dei fuochi, appiccati con le erbe vecchie. Questi falò, assieme alla tradizionale raccolta delle erbe giovani sanciscono il momento di svolta nell’anno e la conseguente rigenerazione. Le piante raccolte nel giorno più lungo dell’anno vantano qualità prodigiose: sono medicamentose, valide come talismani e usate per predire il futuro. Tra queste ci sono il cardo, la salvia, la verbena, la valeriana, la maggiorana, la menta, l’artemisia, la ruta, l’arnica e l’iperico, la cosiddetta erba cacciastreghe o scacciadiavoli, che raggiunge l’apice della fioritura proprio nei giorni del Solstizio.
Altra tradizione ancora viva è la rugiada della festa di San Giovanni, legata alla tradizione dell’acqua odorosa. In molte zone d’Italia e non solo alle prime luci dell’alba veniva esposto un catino con acqua impregnata di fiori. Le ragazze in età da marito usavano bagnarsi per propiziare le nozze e in generale, bagnarsi con la brina dalla notte più corta dell’anno era considerato un atto purificatore. La tradizione ci tramanda che le comunità contadine si riunivano all’alba e, in un rito collettivo si bagnavano gli occhi per proteggere la vista e favorire la capacità di vedere oltre il mondo visibile. Questo tipo di abluzione rievoca da un lato il battesimo di Giovanni ma, del resto fu quello stesso gesto a rievocare i lavaggi di purificazione precristiani.
Tra le credenze legate a questa ricorrenza si narra che in questa magica notte, una trave di fuoco attraversi il cielo e su di essa ci siano Erodiade e la figlia Salomè, che aveva ottenuto da Erode la testa di San Giovanni Battista su un piatto d’argento. Disperate, le due, vagherebbero nel cielo gridando: “Mamma perché me lo chiedesti! Figlia perché lo facesti”. All’alba, anche nel sole ci sarebbe qualcosa d’oscuro: il folclore tramanda che il 24 giugno la sfera sia più luminosa del solito e sembra quasi che a delimitarne il contorno ci sia un cerchio di fuoco che gira instancabilmente per qualche ora. Chi, tra le ragazze da marito, riuscirà a vedervi la testa di San Giovanni decapitato, si sposerà entro l’anno.
(A cura della Redazione del Sito)