V.I.T.R.I.O.L. ED IL TEMA DELLA DISCESA AGLI INFERI

La Catabasi

Lo Psicopompo

Psicopompi e Guardiani Infernali nell’iniziazione

Morte ed iniziazione

V.I.T.R.I.O.L.

 

V.I.T.R.I.O.L. ed il tema della discesa agli inferiIl tema della discesa negli inferi, o più esattamente della catabasi, non è certamente una novità: innumerevoli sono gli esempi nelle varie culture fin dall’antichità più remota. Basti ricordare Ercole, Polluce, Orfeo per i greci, la babilonese Inanna, l’eroe ittita Kessi, Xolotl in Messico, Enea per i latini e Dante nella letteratura italiana. Lo stesso Gesù sarebbe morto per poi risorgere, quindi è ben chiaro come la possibilità di scendere nel regno dei morti per poi fare ritorno a quello dei vivi sia espressione di un ancestrale bisogno degli esseri umani. Naturalmente, i vari miti e racconti danno adito ad interpretazioni verosimilmente diverse, ma allo stesso tempo sono sempre riconducibili ad un processo trasformativo catartico dell’Io-anima o all’idea della vita eterna con la conseguente sconfitta della morte.

La Catabasi (1)

Il viaggio nell’Ade inizia solitamente in luoghi poco accessibili (2), porte celate alla vista dei mortali che, una volta aperte, conducono in un’altra dimensione, caratterizzata sovente dalla immobilità temporale; un luogo ineffabile per l’essere umano ancorato alla vita, di conseguenza, alla dimensione temporale, uno spazio al di là dell’esperienza, del conoscibile, governato da potenze superiori che regolano la “vita dopo la morte”. Solo coloro che possiedono caratteristiche non comuni sono in grado di oltrepassare la furia di Cerbero, custode imperturbabile e feroce di quelle Porte, e ritornando sui propri passi, uscire nel mondo dei vivi. Basti ricordare le parole che la Sibilla Cumana rivolge ad Enea (3):

Enea, germe del cielo,

lo scender ne l’Averno è cosa agevole

ché notte e dí ne sta l’entrata aperta;

ma tornar poscia a riveder le stelle,

qui la fatica e qui l’opra consiste.

Questo a pochi è concesso, ed a quei pochi

ch’a Dio son cari, o per uman valore

se ne poggiano al cielo. A questi è dato

come a’ celesti.

Lo stesso Ercole, eroe e semi-dio, prima di poter scendere nel mondo di Plutone, dovette purificarsi ed essere iniziato ai Misteri Eleusini:

“La dodicesima fatica fu la cattura di Cerbero, nell’Ade. Cerbero aveva tre teste canine, coda di serpente ed il dorso irto di teste di serpenti.

Per poter accedere all’Ade Eracle si recò ad Eleusi dove Eumolpo lo purificò per l’uccisione dei Centauri e lo iniziò ai misteri.

Nell’Ade Eracle incontrò le ombre di Meleagro e della Gorgone Medusa, liberò Teseo ma non riuscì a liberare Piritoo; fece rotolare via la roccia che teneva prigioniero Ascalafo.

Ottenne Cerbero da Plutone a condizione che lo catturasse senza fare uso di armi, lo mostrò ad Euristeo e lo riportò nell’Ade.”

[Apollodoro (Pseudo), Biblioteca, Libro II, 5.1-5.12]

Tutti questi episodi, narrati così a lungo, sottendono una lezione di vita; dagli insegnamenti morali ivi contenuti possiamo percepire come i grandi autori classici fossero giunti ad una concezione dell’esistenza umana che tenesse conto dell’essenza del vivere, essendo riusciti a scremare tutta la futilità e la superficialità dei valori materiali… Nei testi vengono quindi sapientemente dosati tutti gli ingredienti utili alla ricetta di una vita consistente e felice. Naturalmente questi antichi precetti, molto spesso artatamente travisati nel corso della storia dalle varie religioni che intendevano solamente avere il controllo sulla popolazione, stanno alla base di tutti i libri sacri che – più o meno esotericamente – indicano un codice spirituale e comportamentale che indica la retta via da seguire per il miglioramento della propria condizione. E’ fondamentale comprendere come tale condizione non è direttamente collegata alla vita sociale, né tantomeno con la proprietà di beni materiali, ma si rivolge precipuamente alla sfera interiore: conoscenza, controllo e potere, se equamente esercitati sul proprio io possono renderlo inattaccabile dall’esterno… fato, fortuna ed opportunità saranno quindi relegati ad un ruolo di secondo piano ed il nostro Io sarà sempre consapevole. Lo stato delle cose assumerà una valenza molto diversa e mai, durante la propria vita, accadrà di sentirsi perduti, soli, inadeguati: colui che percorrerà questa strada comincerà via via a sentirsi come invulnerabile, la propria coscienza, infatti, non porterà più nessun attacco a chi possederà la conoscenza e la consapevolezza del giusto. Raggiunto un siffatto traguardo, le cose per cui i più combattono, disperdendo preziose energie, ci parranno tanto superflue da non esser neppure considerate.

Veniamo adesso ai fattori necessari ad intraprendere con successo la catabasi.

Lo Psicopompo

Lo psicopompo è la figura che svolge la funzione di accompagnare le anime dei morti nell’al di là. Un esempio classico è quello di Caronte, ovvero il traghettatore di anime attraverso l’Acheronte, un essere soprannaturale, demoniaco, che doma le acque putride del fiume infernale… Ecco come Dante lo descrive:

Psicopompo. Ed ecco verso noi venir per nave

un vecchio, bianco per antico pelo,

gridando: “Guai a voi, anime prave!

Non isperate mai veder lo cielo:

i’ vegno per menarvi a l’altra riva

ne le tenebre etterne, in caldo e ‘n gelo.

E tu che se’ costì, anima viva,

pàrtiti da cotesti che son morti”.

Ma poi che vide ch’io non mi partiva,

disse: “Per altra via, per altri porti

verrai a piaggia, non qui, per passare:

più lieve legno convien che ti porti”.

E ‘l duca lui: “Caron, non ti crucciare:

vuolsi così colà dove si puote

ciò che si vuole, e più non dimandare”.

Quinci fuor quete le lanose gote

al nocchier de la livida palude,

che ‘ntorno a li occhi avea di fiamme rote.

e poi ancora:

Caron dimonio, con occhi di bragia

loro accennando, tutte le raccoglie;

batte col remo qualunque s’adagia.

 

Analizzando bene l’etimologia del vocabolo psicopompo (4), sembra più opportuno, almeno nella Commedia dantesca, attribuire questo ruolo a Virgilio prima ed a Beatrice e San Bernardo poi: sono i tre che condurranno l’autore attraverso la sua singolare visione del mondo dopo la vita, un’allegoria che sarà capace di influenzare gran parte della cultura occidentale nei secoli a venire.

Tali argomentazioni possono sicuramente riferirsi anche all’Eneide (5), in cui l’eroe, Enea appunto, condotto dalla la Sibilla Cumana (6), sacerdotessa di Apollo, visita nei Campi Elisi i propri antenati, incontrando anche l’anziano padre Anchise, da poco deceduto; anche in questa occasione ritroviamo prima la figura di Caronte e poi quella di Cerbero:

 

Quinci preser la via là ‘ve si varca

il tartareo Acheronte. Un fiume è questo

fangoso e torbo, e fa gorgo e vorago,

che bolle e frange, e col suo negro loto

si devolve in Cocito. È guardiano

e passeggiero a questa riva imposto

Caron demonio spaventoso e sozzo,

a cui lunga dal mento incolta ed irta

pende canuta barba. Ha gli occhi accesi

come di bragia. Ha con un groppo al collo

appeso un lordo ammanto; e con un palo,

che gli fa remo, e con la vela regge

l’affumicato legno, onde tragitta

su l’altra riva ognor la gente morta.

Vecchio è d’aspetto e d’anni; ma di forze,

come dio, vigoroso e verde è sempre.

 

Poco dopo, in un bellissimo passo, Caronte esprime il suo rifiuto a traghettare i vivi verso l’Ade, allora la Sibilla gli presenta l’eroe Enea, poi senza indugio mostra a Caronte il ramo d’oro, chiave d’accesso al mondo infernale.

«Olà, ferma costí, – disse gridando –

 

qual che tu sei, ch’al nostro fiume armato

ten vai sí baldanzoso; e di costinci

di’ chi sei, quel che cerchi, e perché vieni:

ché notte solamente e sonno ed ombre

han qui ricetto, e non le genti vive,

cui di varcare al mio legno non lece.

E s’Ercole e Tesèo e Piritòo

già v’accettai, scorno e dolore n’ebbi;

ché l’un d’essi il tartarëo custode

incatenovvi, e, di sotto anco al seggio

del proprio re, tremante a l’aura il trasse;

e gli altri alfin dal maritale albergo

rapir di Dite la regina osaro».

«Nulla di queste insidie – gli rispose

la profetessa – a macchinar si viene.

Stanne sicuro; e quest’arme a difesa

si portan solamente, e non ad onta.

Spaventi il can trifauce a suo diletto

le pallid’ombre; eternamente latri

ne l’antro suo; col suo marito e zio

si stia casta Prosèrpina mai sempre,

ché di nulla cen cale. Enea troiano

è questi, di pietà famoso e d’armi,

che per disio del padre infino al fondo

de l’Èrebo discende; e se l’esempio

di tanta carità non ti commove,

questo almen riconosci». E, fuor del seno

d’oro il tronco traendo, altro non disse.

Ei, rimirando il venerabil dono

de la verga fatal, già di gran tempo

non veduto da lui, l’orgoglio e l’ira

tosto depose, e la sua negra cimba

a lor rivolse, e ne la ripa stette.

E poi, poco oltre, oltrepassano anche Cerbero:

Giunti che furo, il gran Cèrbero udiro

abbaiar con tre gole, e ‘l buio regno

intonar tutto; indi in un antro immenso

sel vider pria giacer disteso avanti,

poi sorger, digrignar, ràbido farsi,

con tre colli arruffarsi, e mille serpi

squassarsi intorno. Allor la saggia maga,

tratta di mèle e d’incantate biade

una tal soporifera mistura,

la gittò dentro a le bramose canne.

Egli ingordo, famelico e rabbioso

tre bocche aprendo, per tre gole al ventre

trangugiando mandolla, e con sei lumi

chiusi dal sonno, anzi col corpo tutto

giacque ne l’antro abbandonato e vinto.

 

Avendo perciò compreso cosa sia uno psicopompo, è giunto il momento di chiederci chi o quale potrebbe essere il nostro accompagnatore nel simbolico viaggio alla riscoperta di noi stessi… ed è qui che dobbiamo ben scegliere: sarà proprio lo psicopompo a dover assolvere il compito di indicarci la rotta da mantenere. In questo senso è difficile poter fornire una risposta univoca che possa soddisfare universalmente ciascun uomo, ognuno dovrà scoprirlo pian piano nel corso della propria progressione spirituale; ciò che vi posso riportare è la mia personale esperienza, fatta di molteplici figure, di volta in volta ritenute più adatte al tipo di percorso.

Sono stato accettato giovanissimo in una Loggia massonica ed è qui che sono incappato – neppure tanto casualmente – in alcune menti che ho intuito di dover seguire, attraverso il loro esempio ed insegnamento ho cominciato a comprendere l’importanza di un affinamento personale che fin da subito ha manifestato una serie di benefici nel rapporto con me stesso. La via del successo e del potere mi avevano non poco affascinato, rendendo i miei sensi incuranti di ciò che veramente mi interessava: la sensazione di disagio – magari non troppo percepibile all’esterno – era notevole, la strada che stavo percorrendo mi avrebbe condotto là dove non avrei mai voluto giungere. E’ ciò che intendevo dire prima con l’affermazione di estrema singolarità della via interiore: il primo passo da compiere è comprendere ciò che ci è veramente gradito anche se non dovesse combaciare con le aspirazioni altrui o con l’immagine di sé che si vuol proiettare nella società.

Indicatami la strada iniziale, ho cominciato ad esplorare tutte le possibilità attraverso il “secreto” dei Maestri: da Socrate a Popper, da Platone a Kerouac, passando per Stevenson, Asimov e molti altri insieme a numerosi saggi su vita ed opere dei grandi personaggi.

Tutto questo mi ha guidato sino ad oggi, magari per alcuni non è un gran ché, ma è ciò che mi serviva per essere felice con la famiglia, gli amici e, soprattutto me stesso…

Psicopompi e Guardiani Infernali nell’iniziazione

Volendo approfondire l’argomento dal punto di vista iniziatico-simbolico, potremmo individuare due livelli fondamentali su cui concentrare la riflessione: il primo interiore ed il secondo esteriore.

Voglio introdurre questo elemento che non mi sembra affatto banale e la cui comprensione è basilare se si vuole intendere pienamente il significato di “iniziazione” e della relativa morte profana e rinascita a nuova vita.

Come ho affermato più volte, intendo il percorso iniziatico come esclusivo per ciascun individuo, pertanto non posso che ritenere che vi sia un fattore personale responsabile, seppur solamente in parte, di questa palingenesi.

Ecco che allora ho creduto di dover distinguere fra sfera prettamente interiore ed esteriore, non solamente nell’aspetto che sottiene gli effetti, ma anche – e soprattutto – in quello che attiene le cause…

La ricerca introspettiva a tal riguardo, mi ha condotto ad una personale teoria proprio sui fattori o cause che possano seriamente portare a compimento il processo iniziatico: non avendo certezze assolute o dogmi e dovendo avviare il processo di armonizzazione interna che consta di un’iniziale lotta fra forze opposte, dobbiamo individuare ed interpretare simbolicamente, ovvero trasporre, queste energie contrapposte nelle realtà allegorico-esoteriche individuabili nei metodi tramandatici da questa ricca tradizione. Il primo passo consta nella materializzazione interiore dello psicopompo, allora pensando alle qualità capaci di condurci alla rinascita, mi sovvengono sapienza ed intelligenza che secondo la tradizione cabalistica ebraica sono capaci di sviluppare la bellezza… riflettendo la figura dantesca di Virgilio ed anche quella virgiliana della Sibilla incarnano certamente le qualità della saggezza e dell’intelligenza: il primo grande Maestro e la seconda capace di risolvere qualsiasi enigma umano, tanto da poter guidare le azioni per il successo dell’impresa, andando avanti in Dante a Virgilio si sostituisce Beatrice che per l’autore è bellezza assoluta…

In ultima analisi serve solo l’aggiunta della virtude, l’antica forza, ben rappresentata da Eracle [Ndr Ercole nella mitologia romana]: l’eroe, dopo il noviziato, decide di ritirarsi in meditazione per decidere cosa fare della propria vita; dopo qualche tempo si trova di fronte due figure femminili: la “Mollezza” che gli propone una vita facile, priva di difficoltà e la “Virtù” che invece gli presenta un cammino pieno di ostacoli che però potrà condurlo alla “Gloria”, naturalmente tutti conosciamo il risultato di tale scelta che obbligherà Eracle alle Fatiche. Il fatto da sottolineare non è quello della ben nota forza fisica del semidio, ma bensì della estrema volizione, ben più rara. A tutto ciò si contrappongono le infime, quanto temibili, potenze (Cerbero) che spesso sono radicate in noi, sio a lambire la nostra stessa essenza… mi riferisco ai vizi e pregiudizi, indotti in parte geneticamente ed in parte culturalmente dalla società in cui viviamo e cresciamo.

Concludendo, sul piano interiore, con volizione dobbiamo farci condurre dalla sapienza verso la bellezza, o armonia, che sarà poi capace di elevarci sino ai piani più elevati, o se volete più sottili, relegando i vizi ed i pregiudizi “in oscure e profonde prigioni”, in modo da non esserne influenzati in alcun modo.

Morte ed iniziazione

Il concetto di morte può assumere vari significati: dalla fine di tutto, quale ultimo atto dell’esistenza senza alcuna possibilità di proroga, a semplice trasmutazione, attraverso la migrazione dell’anima, sino alla rinascita a nuova vita, una vita spirituale che si protrae all’eternità…

Certamente riguardo alla morte sappiamo ben poco, rappresentazione più alta dell’ineffabile risposta alla domanda “dove andiamo?” che ricorre nella mente umana, sin dal suo “initium”. Non so, se fra le innumerevoli teorie a riguardo, qualcuno abbia colto nel segno, quello che so, è che numerose e complesse strutture ideologiche che stanno alla base di vere e proprie dottrine, sono costruite su questa fatidica risposta…

Un tempo esisteva la morte e basta, poi con lo sviluppo culturale delle società, susseguitesi nel corso della storia umana, si è tentato di trovare una risposta più o meno plausibile all’incertezza su ciò che sia dopo la morte…

Filosofi, scienziati, religiosi, ciascuno ha ipotizzato una propria specifica visione dell’al di là, adducendo le motivazioni più disparate, (in)utile avallo a ciò che l’essere umano, spirito, anima o corpo che sia, non può conoscere direttamente. All’uopo, rispettivamente secondo l’inclinazione di ognuno, si sono creati dogmi, ovvero precetti dettati direttamente dalla divinità tramite i propri rappresentanti viventi nel nostro pianeta, oppure teorie scientifiche, o pseudo tali, difficilmente dimostrabili e sperimentabili, sino ai costrutti logico-filosofici, per terminare con la strada mediana – a noi più congeniale – del ragionamento scientifico integrato dall’imprescindibile fattore spirituale, vera ricchezza dell’uomo.

Così si è giunti alla via iniziatica massonica che ha compreso e voluto sommare al puro razionalismo la capacità squisitamente umana dell’intuizione trascendente, unico mezzo possibile per compiere l’ultimo e più importante passo verso l’ineffabilità dell’Essere Supremo.

Per tale concezione, i concetti di morte e rinascita sono affrontati più volte durante il percorso iniziatico, assumendo via via significati diversi.

V.I.T.R.I.O.L.

Il VITRIOL, acronimo di Visita Interiorae Terrae Rectificando Inveniens Occultam Lapidem, non è altro che l’iniziale trasposizione massonica della rinascita a nuova vita dopo la morte: il primo simbolico viaggio dell’iniziato si svolge all’insegna dell’elemento “terra”, colui che è stato scelto per intraprendere la nuova via deve meditare sulla propria vita da profano, tirare le somme della propria esistenza lasciando un testamento, ultimo atto della vita passata, quale espressione di intenti futuri. Al contempo, durante la permanenza nel Gabinetto di riflessione, deve raggiungere la concentrazione necessaria ad una meditazione talmente profonda (Visita Interiorae Terrae) da fargli scorgere la scintilla divina (Inveniens Occultam Lapidem) che ha sempre risieduto, seppur a sua insaputa, nel suo «Io» più intimo.

La pietra filosofale, capace di trasformare la materia vile (piombo) in materia nobile (oro), è rimasta celata in profondità e può essere scoperta intraprendendo la “giusta via”, ovvero la strada retta della virtù (rectificando).

Quindi lo scopo ultimo del VITRIOL sono catarsi ed introspezione per rigenerarsi in un uomo nuovo come la fenice che risorge dalle proprie ceneri.

Dopo il primo elemento, il recipiendario, ovvero colui che aspira ad essere iniziato, dovrà superare alcune prove caratterizzate dagli altri elementi: acqua, aria ed infine fuoco. In questo senso basti pensare al percorso dantesco attraverso i tre regni ultraterreni – mi riferisco ad Inferno, Purgatorio e Paradiso – che non poteva che culminare con il contatto diretto con l’emanazione divina, la Luce…

Ecco, quindi, riaffacciarsi la funzione sincretistica massonica che è riuscita – sempre allegoricamente – a traspondere la simbologia esoterica classica in un piano più consono alla cultura moderna e contemporanea, rendendo i concetti talmente universali da esser compresi anche senza la profonda conoscenza dei classici egizi, greci e romani: il richiamo a virtù eroiche o divine, leggibile nei passi citati precedentemente, si trasformano in virtù umane ed in particolare quelle caratterizzanti il Libero Pensiero, sorgente indispensabile a chiunque intenda dissetare il proprio spirito prima si accinga a percorrere la via iniziatico spirituale per il proprio perfezionamento. Tali numerose virtù, debbono essere infatti fondate sulla temperante volontà individuale e sulla consapevolezza di una costante opera utile al superamento di numerosi ostacoli, tradotti in allegoriche prove, proprio come doveva accadere in passato (Eneide, libro VI):

 

l loco tutto in mezzo

è da selve intricato, e da negre acque

de l’infernal Cocíto intorno è cinto.

Ma se tanto disio, se tanto amore

t’invoglia di veder due volte Stige

e due volte l’abisso, e soffrir osi

un cosí grave affanno, odi che prima

oprar convienti. È ne la selva opaca,

tra valli oscure e dense ombre riposto

e ne l’arbore stesso un lento ramo

con foglie d’oro, il cui tronco è sacrato

a Giuno inferna: e chi seco divelto

questo non porta, ne’ secreti regni

penetrar di Plutone unqua non pote.

Ciò la bella Prosèrpina comanda,

che per suo dono il chiede; e svèlto l’uno,

tosto l’altro risorge, e parimente

ha la sua verga e le sue chiome d’oro.

Entra nel bosco, e con le luci in alto

lo cerca, il trova, e di tua man lo sterpa;

ch’agevolmente sterperassi, quando

lo ti consenta il fato. In altra guisa

né con man, né con ferro, né con altra

umana forza mai fia che si schianti,

o che si tronchi.

 

Come Enea doveva essere in grado di spezzare il ramo d’oro, così gli iniziati sono chiamati a scovare la pietra celata (Occultam Lapidem), ovvero alla purificazione e conoscenza interiore atta a cogliere gli insegnamenti metodologici utili alla prosecuzione del proprio cammino sulla scala che conduce alla perfezione.

Abbiamo quindi individuato nuovamente i parametri necessari per essere chiamati ad un tale lavoro e quelli successivi necessari a riveder le stelle…

Esiste poi un livello superiore, cui si rende necessaria un’altra allegorica morte, ovvero l’impersonificazione nella morte del maestro come esperienza profonda della tragedia umana legata al lato più oscuro della propria anima. Provare su se stessi il male profondo del tradimento e dei vizi per comprenderne appieno l’esperienza in modo da non esserne attratti, evitando cosi di caderne in trappola.

Tema questo che abbiamo trattato nel numero di gennaio, a cui rimando per completezza (7)…

NOTE

1) Catàbasi (dal greco Catàbasi “scendere”, di Catàbasi “giù” e Catàbasi “andare”) significa “discesa nell’Ade”.

2) Ecco la descrizione dell’ingresso all’Ade fatta da Virgilio nell’Eneide (libro VI) nella traduzione di Annibal Caro (XVI sec.):

Era un’atra spelonca, la cui bocca 350

fin dal baratro aperta, ampia vorago

facea di rozza e di scheggiosa roccia.

Da negro lago era difesa intorno,

e da selve ricinta annose e folte.

Uscia de la sua bocca a l’aura un fiato 355

anzi una peste, a cui volar di sopra

con la vita agli uccelli era interdetto;

onde da’ Greci poi si disse Averno.

3) Ibidem

4) Che deriva dal greco psicopompo, composta da psyche (anima) e pompós (colui che conduce).

5) Op.cit.

6) A cui Enea stesso chiede di accompagnarlo (ibidem):

Or sol ti chieggio 160

(poscia che qui si dice esser l’intrata

de’ regni inferni, e d’Acheronte il lago)

che per te quinci nel cospetto io venga

del mio diletto padre; e tu la porta,

tu ‘l sentier me ne mostra, e tu mi guida. 165

7) G. Galassi. La Leggenda di Hiram. Secreta Magazine n.1, 2010: pagg.6-15.

 

A cura di Eiael

 

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